domenica 23 gennaio 2011

L' ARCA SPAZIALE - 1a parte


Adesso sapeva cosa fare. Dopo l’esperienza vissuta non aveva più paura e il destino a lui riservato non appariva più terribile: anzi, ciò che aveva scoperto aveva reso la sua missione più importante e più rilevante per tutta l’umanità.

Tutto era cominciato qualche giorno prima alla base spaziale della NASA a Cape Canaveral. Era la penultima missione dello Shuttle, ed Emilio Rossi, esperto astronauta dell’ESA, si accingeva a dirigere una difficile missione di riparazione di un importante satellite di comunicazione geostazionario. La scelta era caduta su di lui perché il satellite era stato costruito anni prima su progetto europeo, cui avevano contribuito le eccellenze delle industrie aerospaziali francesi, inglesi e italiane. Con lui erano un’astronauta americana; Abby Davidson, comandate e pilota dello shuttle, e un astronauta francese Jean  Leduc, ingegnere aerospaziale. Anche Emilio si era laureato a pieni voti in ingegneria aerospaziale e aveva lavorato nei più importanti enti statunitensi ed europei del settore sino a diventare una delle rare eccellenze della materia. Nel piccolo paese dell’Italia del Nord in cui nacque, era considerato una celebrità e un “eroe”; tuttavia ben pochi potevano dire di averlo conosciuto personalmente, perché la sua attività lo aveva portato a vivere prevalentemente lontano dal paese natio. Emilio aveva dedicato tutto se stesso al lavoro che aveva scelto sacrificando gli affetti, ogni tipo di hobby e la possibilità di crearsi una famiglia. Ciò non lo rattristava minimamente perché aveva fatto dello spazio la sua ragione di vita. D’altra parte Emilio era tutt’altro che un misantropo; anzi era una persona gradita e affabile, avendo l’innata capacità di adeguare il suo lessico alle circostanze e alle persone con cui interloquiva; poteva attirare l’attenzione sia si trovasse di fronte agli studenti di scuola elementare che di fronte al simposio dei migliori esperti di scienza spaziale. Aveva anche un certo successo con le rappresentanti del sesso opposto, sia perché aveva cura del suo aspetto fisico che per l’intelligenza e la sagace autoironia che affascinavano le donne. Non si legò mai con nessuna di esse convinto com’era che la sua vita dovesse essere dedicata tutta al suo lavoro.
La missione spaziale cui si accingeva prendere parte, avrebbe rappresentato il fiore all’occhiello della sua attività. Da anni era stato inserito nel programma aerospaziale congiunto fra NASA ed ESA, e avrebbe dovuto comandare una missione per il montaggio di un modulo della stazione orbitale internazionale. L’incidente accaduto al satellite geostazionario, alla cui progettazione e realizzazione aveva contribuito anche Emilio, aveva dirottato il suo viaggio nello spazio verso questa esigenza.
Emilio si era affiatato molto con i suoi compagni di missione, con i quali avevano condiviso ogni minuto di vita degli ultimi cinque mesi. Con il francese Jean, condivideva gli stessi interessi di studio e aveva tratti caratteriali simili. Anche questi era scapolo e dedito prevalentemente al suo lavoro, ma aveva un atteggiamento notevolmente più guascone col gentil sesso: era decisamente un “tombeur de femme” e di ciò se ne vantava. Abby era un’ex pilota di caccia dell’aviazione statunitense, una sorta di top-gun al femminile, dal carattere deciso e con un alto senso della disciplina e del dovere. Era stata congedata col grado di colonnello per alti meriti di servizio ed era approdata, dopo intensi studi, alla NASA, dove era divenuta una delle poche donne pilota del programma spaziale. Abby racchiudeva tanta determinazione e capacità in un corpo di un metro e settanta di altezza, molto ben proporzionato, nonostante avesse dato al marito tre bellissimi pargoli, di cui entrambi andavano palesemente fieri.

Nonostante Emilio avesse superato brillantemente tutti i duri test psico fisici per l’abilitazione alla missione e fosse una persona molto razionale e pratica, nel momento in cui fu aiutato a calarsi nell’abitacolo dello shuttle cominciò ad avvertire l’emozione. Anche se questa fastidiosa sensazione fu dimenticata durante le operazioni preliminari al lancio, riapparve in lui negli istanti subito precedenti il lancio, allo scandire dei primi numeri del conto alla rovescia “…ten…nine... eight...”. Fra il “ seven e il six” avvertì l’accensione dei tre propulsori principali del Veicolo Orbitale alimentati dal grosso serbatoio esterno a idrogeno e ossigeno. La potenza dei motori, limitata dai computer di terra inizialmente al 90% fino alla loro posizione definitiva, trasmetteva vibrazioni crescenti a tutto lo shuttle, nonostante gli 1.100 metri cubi di acqua sparati alla base di lancio sotto i motori, per attutire la ridondanza del suono.”...five…four…tree...”: dopo tre secondi la potenza passò al 100 % e si era ormai al punto di non ritorno.    Sentiva i battiti del suo cuore accelerare in modo incontrollabile a mano a mano che il momento del lancio si avvicinava: “ …two…one... ” Lo shuttle ebbe un altro sussulto all’accensione dei due Booster laterali di spinta a combustibile solido con perclorato di ammonio ed alluminio  e si staccò lentamente dalla rampa per sfuggire alla forza di gravità."Lift off !" “ In pochi istanti l’ accelerazione crebbe esponenzialmente ed Emilio si sentì schiacciato sul sedile e con lo stomaco in gola; sensazione che aveva già provato sui simulatori ma che ora gli sembrava ingigantita. “Sarà l‘emozione per la missione” pensò fra sé e sé.
Lo shuttle ruotò su stesso assumendo la traiettoria ad arco e raggiungendo la velocità supersonica che lo avrebbe portato nello spazio. Solo dopo il rilascio dei due razzi laterali, due minuti circa dopo il lancio e a sessantasei chilometri di altezza, Emilio ritrovò un po’ più di calma e di concentrazione. Abby girò il volto verso di lui donandogli un breve sorriso rassicurante, forse perché aveva percepito il suo stato. Contraccambiò il sorriso e fece con le dita il segno OK. La fase critica non era tuttavia ancora finita, e Abby riprese a concentrarsi sulle operazioni di pilotaggio. Emilio avvertì la parziale perdita di spinta del veicolo dovuta al peso del carburante contenuto nel grosso serbatoio esterno. Una posizione di quasi “stallo” che sarebbe durata solo qualche secondo. a mano a mano che il serbatoio si svuotava, l’accelerazione riprendeva in maniera decisa. Dopo cinque minuti e quarantacinque secondi dal lancio, raggiunta una posizione piatta, quasi orizzontale, lo shuttle si girò nuovamente per posizionare le antenne verso i satelliti. Dopo circa sette minuti e mezzo dal lancio si avvertì la diminuzione della spinta sotto i 3 G, necessaria per ridurre lo stress fisico degli astronauti: Emilio si rilassò ulteriormente, ritornando ad avere il 100 % di controllo su se stesso. A otto minuti si udì lo scossone secco del distacco del serbatoio esterno che, ormai quasi vuoto, sarebbe precipitato sulla terra non prima di esplodere volutamente in migliaia di pezzi appena entrato nell’atmosfera. Abby verificò l’ accensione dei due motori orbitali, gli unici rimasti per manovrare il veicolo nello spazio e, dopo aver dato tutte le comunicazioni del caso al centro operativo sulla terra, esclamò: “ Tutto OK ragazzi! La prima fase di stress è superata. Siamo in orbita.”  Emilio si lasciò sfuggire un liberatorio “Wow, emozionante !”, Jean si limitò a fare un cenno di OK col pollice alzato. Entro due giorni di orbita avrebbero raggiunto il satellite da riparare.

Fine 1.a parte

domenica 12 dicembre 2010

UN NATALE DI SPERANZA - Fiaba -

Giorni fa, in una delle mie solitarie passeggiate notturne, solo con i miei pensieri, mentre cercavo di porre in essi un improbabile riordino, ho visto sopraggiungere dallo stesso lato della strada che percorrevo, un uomo corpulento. Non era alto, era ricurvo un po’ su se stesso e camminava a fatica, trascinando leggermente i piedi. L’ora era tarda e nessuno passava in quel momento. Mi sentivo a disagio e stavo per cambiare lato della via quando questi alzò un braccio per richiamare la mia attenzione: con circospezione mi avvicinai. Quando gli fui vicino mi accorsi che aveva l’aspetto di un mendicante. Aveva scarponi rotti ai piedi, tenuti insieme con lo spago. Era vestito a “cipolla”: sotto portava un maglione sgualcito e rattoppato, due cappotti unti, uno sopra l’altro e da ultimo una mantella cerata con il cappuccio che gli copriva il capo e parzialmente il volto. I pantaloni erano pesanti e pieni di toppe multicolore, tenuti su con un grosso cordone da tenda. Una sciarpa di lana infeltrita gli copriva parzialmente la barba ingrigita che immaginai essere molto folta, sormontata da grossi baffi. Azzardai un timido “ Posso esserle d’aiuto ?”, per rendermi conto di chi avessi di fronte. L’uomo scostò il cappuccio scoprendo completamente il volto e mi salutò pronunciando il mio nome ed il mio cognome. Rimasi sorpreso per questo e cercai di riconoscere in quel volto solcato da profonde rughe, un vecchio amico di mio padre. Ma nemmeno quegli occhi vispi che ampliavano il radioso sorriso che mi stava donando, mi ricordavano qualcuno.
“Non mi riconosci più ?” mi chiese, quasi divertito.
“Mi scusi- risposi- ma, sinceramente, lei non mi ricorda nessuno”.
“Caro ragazzo mio – continuò ridendo – io non so se dovresti, ma di sicuro sono tanti anni che non ti fai sentire”.
Sorrisi anch’ io, un po’ allibito, ma il vecchietto mi interruppe prima che io potessi ribattere.
“Sono Babbo Natale”
Il mio sorriso si tramutò in una trattenuta risata anche perché cominciai a sospettare che il viso rubicondo dell’ometto, fosse dovuto ad un eccesso di ingestione di vino.
“Mi scusi ancora – dissi cercando di trattenere il riso – è tardi devo andare a casa. Consiglio di fare la stessa cosa anche a lei…fa molto freddo. Se abita qui vicino posso accompagnarla”.
Il suo  sguardo si fece improvvisamente serio e puntandomi gli occhi fissi nei miei, proferì severo: “Mi prendi forse per un ubriacone?”
“No, no " cercai di rassicurarlo, sempre  trattenendo la risata .
“Però l’ hai pensato …" - disse diventando corrucciato.
“Mi scusi buon uomo – feci, cercando di dissimulare il fatto che mi avesse letto nel pensiero – ma capirà,  alla mia età, mi trovo di fronte una persona, simpatica certamente, che sostiene di essere Babbo Natale …”.
“Ehi giovanotto – mi interruppe nuovamente – un po’ di rispetto per una persona che ha molti, ma molti anni più di te! Ricordati che fino ai tuoi otto anni di età, poco prima di Natale, mi hai puntualmente scritto una letterina elencando i doni che avresti desiderato ricevere. Ed io, per quanto mi fosse possibile, i tuoi desideri li ho quasi tutti esauditi.”. Così dicendo mi elencò anno per anno i regali che avevo ricevuto descrivendone le particolarità o il colore o il modello.
Rimasi allibito: ricordai ognuno dei doni di cui mi stava parlando ed anche quelli di cui mi ero dimenticato.
“Che mi rispondi ora ragazzo mio ? " concluse l’ anziano uomo.
Ero confuso, cominciai a pizzicarmi le cosce dall’ interno delle tasche dei pantaloni per sincerarmi che fossi sveglio. Pensai anche a cosa avessi bevuto poco prima al bar nel timore di aver ecceduto e di essere totalmente ubriaco. Ma ricordai di aver ingerito solo un caffè ed un piccolo bicchierino di grappa…troppo poco per andar fuori di testa!
L’ ometto riprese a sorridere ed incalzò: “ Guarda che sei sveglio e non sei per niente ubriaco. Io sono veramente Babbo Natale”.
“Ma – ripresi io con un certo imbarazzo – signor Babbo … Natale, io in verità me la ricordavo un po’ diverso. In uno sfolgorante abito rosso, con una lucente barba candita … almeno era così fino a quando ci ho creduto da piccolo”.
“Ecco ragazzo mio – mi ammonì di nuovo il vecchietto – io c’ ero perché credevi nella mia esistenza. Capita prima o poi a tutti gli esseri umani di dimenticarsi di me; anzi forse questa è la prima illusione che un essere umano vede cadere … Ma io esisto, eccome! Mi vedi così in questi abiti che uso per aggirarmi fra la gente quando non è Natale, per osservarvi tutti. E mi ricordo di ognuno di voi.”
“Ma allora – chiesi dubbioso – in questo momento ti vedo perché ho ricominciato a credere in te ?”
“Non è proprio così – precisò candidamente – Le persone adulte hanno perso il dono di abbandonarsi al fantastico, alle fiabe, alle illusioni. Diciamo che ogni tanto capita che io senta i pensieri di qualcuno di voi e decida di intervenire per ascoltare e per farvi un ultimo dono…Quale regalo vorresti ragazzo mio ?”.
Rimasi un attimo in silenzio pensando a cosa avrei potuto chiedere, ma non mi venne in mente nulla.
“Caro … Babbo Natale – dissi dopo qualche istante - a dire il vero non saprei cosa chiedere. Ho una famiglia, una moglie che amo, un figlio stupendo, dei famigliari adorabili. Ho diversi cari amici, un lavoro e una posizione sociale. A livello materiale non mi manca niente. Dalla vita ho ricevuto gioie e dolori in pari misura, che mi hanno aiutato a comprendere il significato dell’ esistenza. Non saprei, mi sembra di aver tutto…”
Il vecchio uomo sorrise e con dolcezza mi chiese “Sei sicuro? Non è che mi stai nascondendo qualcosa? O magari la stai nascondendo a te stesso ?”.
Sorrisi a mia volta annuendo, non più sorpreso che quell’ essere magico potesse leggermi negli angoli più reconditi della mia mente e del mio cuore.
“Si mio caro vecchietto – confessai - … avrei forse bisogno un desiderio in questo momento, ma so che probabilmente si tratterebbe di un miracolo .”
“ Vedi mio caro ragazzo – mi consolò – io sento la tristezza di qualche tuo pensiero che ti offusca un po’ l’ animo e per la qual cosa non v’ è forse ragione e certamente non devi temere. Io non sono in grado di far miracoli,  non è nei miei poteri. Io faccio solo doni.”
Così dicendo mi si mise al fianco e, cingendomi con un braccio, mi invitò a raggiungere un vicolo lì vicino. Qui giunti mi fece segno di attendere; si diresse verso un grosso sacco appoggiato al muro di una casa e da questo estrasse un sacco più piccolo e me lo porse. Era un sacchetto di tela candita, cucito con un filo di lana verde e chiuso in cima da un fiocco dello stesso colore.
“Grazie. Posso sapere- chiesi - cosa contiene ?”
“La Speranza. – rispose – Una cosa di cui non dovrai fare mai meno quando il tuo impegno e le tue capacità non potranno sovvertire il divenire delle cose. Ciò ti darà la forza per superare qualsiasi avversità”.
Detto questo mi accarezzò una guancia e poi mi passò la mano davanti agli occhi.
Mi parve di cadere in un torpore insostenibile e di cadere all’ indietro senza poter reagire. Sobbalzando mi svegliai, con il batticuore, sul divano di casa mia. Attesi qualche istante per riprendermi e mi misi seduto. C’ era un silenzio assoluto; erano quasi le tre di notte. Pensai di aver sognato tutto; sorrisi e mi alzai per andare ad abbassare la tapparella del soggiorno. C’ era una fantastica luna piena ed il cielo era completamente terso e straordinariamente pieno di stelle sfavillanti.
Mi accingevo a premere il pulsante del motore elettrico della tapparella quando qualcosa posato sulla poltrona, attirò la mia attenzione. Pareva un fagotto. Lo presi delicatamente con entrambe le mani e lo portai alla luce di un raggio di luna. Fui sorpreso che si trattasse del sacco bianco e verde che credevo di aver sognato. Poi uno strano "gingolio" proveniente dall’ esterno attrasse la mia attenzione: nel cielo un carretto sfavillante trainato da otto renne appaiate stava passando sopra la luna. Su di esso, l’ ometto, ora vestito in abiti rossi e con la barba candida svolazzante, mi salutava con il braccio teso, augurandomi con voce ridente: “Buon Natale !”. 


Edo W.A. 

domenica 5 dicembre 2010

L' ASTRO E LA COMETA - Fiaba -

Un piccolo corpo celeste, fatto di polvere e ghiaccio, da tempo vagava nello spazio infinito. La sua traiettoria era stata generata da una forza che lo aveva allontanato dal remoto angolo siderale in cui sostava con i suoi simili e lo sospinse fra i molteplici corpi celesti dell’Universo. Nel suo peregrinare aveva più volte sfiorato svariati soli che ne avevano più o meno intensamente riscaldato il corpo provocando così l’accensione di una timida coda. Da ognuno di essi si era però sempre allontanato, traendo come beneficio un’accelerazione del proprio moto e perdendo in cambio parte della sua esigua massa. Ricordava ognuno di quei fugaci ed occasionali sfioramenti ed era grato ad ognuno dei luminosi astri per averlo illuminato e reso lucente come una stella sfolgorante nell’infinito buio del cielo. Poi era sempre tornato il solito sasso ghiacciato, buio e confuso nell’oscurità dell’universo.
Accadde nel suo errare di prendere un tragitto che l’ avrebbe condotto ad intersecare l’orbita di un nuovo sole, un’altro dei tanti che popolavano l’infinito creato. Lo scorse da lontano e non gli parve diverso dagli altri astri che aveva in precedenza incrociato. Man mano che si avvicinava, però, si avvide della straordinaria luce che emanava dal suo corpo e che produceva un calore che non aveva mai percepito in nessuno degli altri soli. Era una forza straordinaria ed avvolgente, che scaturiva un’energia pura e straordinariamente benefica. Per la prima volta fu preso da un fortissimo desiderio di raggiungere l’orbita di quel sole, tanto forte che vinceva il timore della non impossibile eventualità che potesse finire per precipitare su di esso e dissolversi come ghiaccio in una pentola di acqua bollente. Più si avvicinava più l’irrefrenabile desiderio cresceva. Notò che intorno ad esso ruotavano alcuni coloratissimi pianeti, in orbita ordinata, che traevano vitalità dalla sua benefica energia; gli parve, però, che le sue attenzioni e le sue cure fossero rivolte in particolare ad uno di essi. Un pianeta splendente dal colore azzurro che ruotava intorno a quel sole roteando allegramente anche su se stesso, a dimostrare la sua infinità felicità di essere il principale fruitore di quella straordinaria energia vitale.
Il sole si accorse dell’avvicinarsi di quel minuto corpo e ne percepì lo sconfinato desiderio di avvicinarsi a lui: fu a sua volta sorpreso da tanto sentimento, che non aveva percepito da nessun altro corpo celeste e che era di poco inferiore a quello che nutriva per lui il piccolo pianeta blu.
Il piccolo corpo fatto di ghiaccio, capì che quello sarebbe stato un “incontro” diverso, più bello ed intenso di quelli vissuti in precedenza perché la traiettoria sarebbe stata incredibilmente vicina a quell’astro. Mano a mano che la distanza diminuiva percepiva sempre di più il beneficio della forza vitale di quel sole, il “suo” sole, che stava provocando in lui delle trasformazioni sorprendenti. Il suo corpo si stava lentamente riscaldando, il ghiaccio che lo ricopriva lentamente si scioglieva, liberandolo dalla patina di polvere astrale che aveva raccolto nel suo peregrinare negli infiniti spazi dell’Universo. Il ghiaccio, liquefacendosi, sublimava e dietro di lui si stava formando una splendente e sempre più lunga coda. Nella corsa verso il suo sole si trovò a passare ad una distanza relativamente vicina al piccolo pianeta blu e ne percepì l’infinita gioia per la sua presenza, generata probabilmente dalla percezione della grande felicità che anche l’astro provava all’avvicinarsi di quel nuovo piccolo corpo celeste. Presto il sole incuriosito, divertito e contento per la presenza di quel piccolo sasso cosmico, cominciò ad irraggiarlo con i suoi migliori fluidi di energia. Di quella situazione ne ebbero a godere anche i pianeti che ruotavano intorno all’astro e soprattutto il pianeta blu. Da parte sua il piccolo corpo celeste si impegnò, per ripagare il sole, sfoggiando la più bella e lunga coda che mai aveva prodotto. Lo splendore della loro unione avvenne quando la loro distanza raggiunse il minimo possibile affinché il sole non attraesse, inghiottendola, la sfolgorante cometa. Della loro unione si parlava ormai in ogni angolo dell’Universo, come l’evento più bello e meraviglioso del Creato.
Al piccolo corpo celeste sembrò di essere sempre stato parte di quel sistema: sensazione condivisa dal suo brillante astro. Avrebbe voluto in quel momento che insieme a lui ci fossero i suoi simili, i suoi cari sassi ghiacciati, ora lontani in qualche angolo freddo ed oscuro dell’infinito, per godere insieme a loro di quella straordinaria esperienza. La traiettoria della cometa era così vicina al sole che consentì di prolungare per un lungo periodo la loro unione: tanto che entrambi immaginarono che le cose sarebbero rimaste così per l’eternità.
Ma senza accorgersene, dopo il momento di maggiore sfolgorante unione, la distanza fra loro, ricominciò ad aumentare. Spinto dall’accelerazione gravitazionale il piccolo corpo cominciava ad abbandonare il suo sole. L’astro se ne accorse e per reagire a quell’allontanamento diede forza alla sua energia per continuare a riscaldare il suo piccolo amico e per cercare di riattrarlo a sé. Il piccolo corpo celeste era incapace a contrastare la forza che ora lo stava spingendo di nuovo verso il buio dell’universo: niente avrebbe potuto stravolgere ciò che stava accadendo. Presto il sole dovette desistere a dar maggior forza alla sua energia perché ciò cominciava ad essere dannoso ai pianeti che lo accompagnavano, in special modo al suo pianetino blu. Cercò fino all’ultimo di tenere di vista il piccolo sasso, anche quando la sua coda si era del tutto affievolita cercando di rischiararlo con qualche caldo raggio; ma presto scomparve ai suoi insistenti sguardi e  ed il sole dovette riprendere  ad occuparsi esclusivamente dei suoi vicini compagni astrali.
Il piccolo sasso, invece, ancora per un certo tempo poté osservare, anche se  sempre più da lontano, quello che era stato il suo sfolgorante sole. Non staccò mai il suo sguardo da esso fino a quando la sua luce non si affievolì definitivamente. In cuor suo rimase la bellezza di quel meraviglioso incontro che lo aveva reso bellissimo e cercò di scacciare la nostalgia pensando che la sua traiettoria così vicina a quel sole potesse essere stata modificata a tal punto che, forse, in futuro, l’incontro si sarebbe potuto ripetere…forse… Questi furono i suoi ultimi caldi e melanconici pensieri, prima che le gocce d’acqua che percorrevano il suo corpo come impercettibili lacrime, gelassero e lo ricoprissimo di nuovo come freddo e polveroso ghiaccio….

W.A. 

lunedì 29 novembre 2010

DI NUOVO L' ANGELO - Racconto -

"L’ Angelo"  lo avevano soprannominato quell’ uomo di mezza età, dal passato sconosciuto, e tanto caro a tutti. Glii abitanti del luogo lo chiamavano così per la predisposizione che aveva a far del bene a chiunque, per l’ aria di serena felicità che traspariva dal suo volto e che riusciva a trasmettere agli altri. I turisti del diving, che “Angelo” gestiva, lo chiamavano così perché sott’ acqua sembrava proprio volare, planando con sicura grazia di movimenti sui fondali del mare.  L’ immersione subacquea , in fondo, è l’ imitazione acquatica del volo nell’ aria. Ad "Angelo" piaceva molto questa attività proprio perché gli ricordava il volo, anche se non si sapeva spiegare le ragioni di questa attrazione. Il suo diving era diventato la meta dei turisti provenienti da tutte le parti del mondo che tornavano spesso ad immergersi con lui. Anzi addirittura con alcuni di essi, tramite un social-network su internet, intratteneva dei contatti costanti. Questi amici, poi , proponevano il contatto con “Angelo” anche ad altri loro amici, che immancabilmente il nostro uomo accettava. Passando una sera l’ elenco delle innumerevoli amicizie strette, Angelo si accorse della fotografia in bianco e nero che ritraeva il dolce volto di una donna, su cui spiccavano due occhi scuri, intensamente profondi, uno. Quella immagine lo incuriosì molto, perché gli ricordava un volto noto, ma che non riconduceva a nessuna delle persone che aveva personalmente conosciuto. Però da quella sera non mancò mai di leggere tutti gli scambi di posta della donna; sorrise quando vide pubblicata la storia fantastica del “suo” angelo che le aveva fatto conoscere il suo amato “principe azzurro”; l’ uomo di cui lei andava fiera e per cui manifestava a tutti il suo profondo amore. Era attratto dalla straordinaria forza e vitalità che traspariva dai racconti della donna e dal profondo senso di attaccamento agli amici che sempre manifestava; tant’ è che osò anche scambiare qualche battuta con lei, cercando però di non essere troppo invadente. Fu con estrema sorpresa che una sera si vide recapitare un messaggio da lei che drammaticamente recitava “ Il mio grande amore sta morendo…ed è colpa mia”. Capì dal racconto ,che egli stesso sollecitò , che la colpa non era della donna, ma si trattava di un disgraziato incidente stradale: solo che questo era stato preceduto da un litigio, che accade a volte nella vita di coppia, anche fra persone che si amano sin nel profondo. Forse era il primo litigio in cui ognuno dei due, per mero orgoglio aveva mantenuto la propria posizione senza offrire comprensione all’ altro. Ora il suo principe giaceva in coma nel reparto di rianimazione di un ospedale. Le parole della donna erano cosi cariche di amore e disperato dolore, che Angelo ne rimase profondamente scosso: gli ricordavano un lamento udito in un tempo lontano. Quella notte fu un tormento per Angelo che non riuscì a chiudere occhio sentendosi impotente al disperato appello d’ aiuto lanciato dalla donna. Quella uggiosa notte di fine autunno australiano, sferzata dall’ impetuoso vento dell’ ultimo temporale stagionale. Il baluginare dei lampi entrando dalla finestra della sua stanza, proiettava sulla parete le ombre di oggetti per lui inquietanti. L’ ombra di un porta matite, della lampada ad olio, del modellino di un piccolo faro, di un angelo…un angelo!?!? Non aveva effigi di angeli sulla scrivania! Si girò di scatto verso la finestra e vide la sagoma di un essere alato appena al di là di essa: si catapultò fuori dal letto ritraendosi nell’ angolo più lontano, proprio mentre la figura avanzando penetrò nella stanza inondandola di luce blu.
“Dio mio – sussurrò atterrito con un filo di voce – chi sei ?“
“A te cosa sembro ? – fece l’ altro con voce decisa e rassicurante”.
“ Un angelo?- balbettò “
“Alethe, sono Mihael – ribattè – o preferisci che ti chiami Sbagliato ? “.
"Angelo" fu sul punto di darsi una sberla per svegliarsi, credendosi in preda ad un sogno. Ma Mihael cominciò a raccontargli di chi in realtà lui fosse, chi era stato nel passato, che era un angelo e poi la storia della giovane donna di internet: che era tutto vero che lui era stato il suo angelo e che lei ora aveva un estremo e disperato bisogno di lui.
“Ma io – esclamò Angelo titubante alla fine del racconto – non ricordo nulla…ma , se tutto ciò è vero, devo affrettarmi e partire subito!”  Mihael sorrise e disse: “ Dove corri? Lei non ti riconoscerebbe più, perché non hai più le sembianze del suo angelo. Sei un altro.”
“Ma lei – lo incalzò subito – mi conosce, mi ha visto su internet: sa chi sono! Gli confermerei la storia, la sua storia…”
“…una storia che lei stessa ha raccontato al mondo ? – lo stoppò l’ essere alato – Non credi che ti potrebbe prendere per un pazzo mitomane e con intenzioni poco chiare. E poi quanto ti ci vorrebbe per raggiungerla? Arriveresti in tempo per aiutarla ?”
“Alethe- continuò Miahel- la tua opera d’ angelo è ricordata ancora nell’ Alto dei Cieli, ma non è ancora compiuta. A te la scelta: o torni chi eri o resti come sei ora e lasci che le cose procedano secondo il destino…”
"Angelo" fu per un istante combattuto, ma, di istinto come spesso gli accadeva quando qualcuno gli chiedeva aiuto, pronunciò deciso:
“Ti credo, angelo. Voglio aiutarla…sento che ha bisogno di me, non so perché ma sento che è così. Dimmi che devo fare…come posso ripresentarmi con le sembianze che lei ricorda…come posso rassicurala che sono proprio io?”
Fu così che Mihael gli porse due ali, grandi e lucenti. Angelo allungò una mano per prenderle, ma Mihael le ritrasse.
“Aspetta – disse con fare serio – non ti ho detto tutto: sappi che come ti rimetterai queste ali, tornerai quello che eri e ciò ti consentirà di portare a termine la tua missione. Ma dopo che l’ avrai portata a termine dovrai lasciare la Terra, dimenticando tutti gli esseri umani perché assurgerai al rango massimo degli Angeli, quelli che stanno al cospetto ed al servizio di Lui. E sappi poi che mettendo queste ali ti renderai conto del bene, delle gioie, della felicità che regnano in questo mondo, ma sentirai anche il male, l’ odio e la disperazione che qui regnano…e te ne accorgerai subito non appena le avrai messe!”
Poi porse di nuovo le ali ad Angelo. Egli , ormai convinto di quel che doveva fare, le prese delicatamente e se le portò alle spalle: subito fu avvolto da un senso di beatitudine e di serenità e gli parve di udire il riso ed il gioioso canto di mille bambini felici. Ma subito dopo sentì un fuoco ardente bruciargli la schiena e sentì le ali che, impadronendosi dei muscoli delle sue spalle, gli laceravano la carne facendolo urlare dal dolore; contraendosi si piegò su se stesso, cadde in ginocchio ed i suoni di canto e riso si trasformarono in pianti di dolore e gemiti di sofferenza; tanto che ne fu sopraffatto e svenne. Non si rese conto di quanto stette disteso sul pavimento, ma quando rinvenne fuori era ancora buio e la tempesta imperversava ancora. La stanza era in ordine, dell’ angelo non vi era più traccia. Si accorse di avere le ali e di non avvertire più alcun dolore; una luce blu si irraggiava da lui ed illuminava tutte le cose intorno. Si ricordò tutto, del passato, della donna e di ciò che doveva fare. Non era più "Angelo", ora era Alethe. Così, senza altro indugio, trasse un profondo respiro e, spiegando le ali, spiccò il volo saettando veloce nel buio della notte, confondendo il suo bagliore fra quello dei lampi del temporale. 

A chilometri di distanza, qualche ora dopo a quanto era accaduto nell’ emisfero opposto, la giovane donna usciva dalla sala di rianimazione dell’ ospedale, in cui giaceva incosciente il suo principe. Dal suo bel viso traspariva tutta l’ angoscia ed il dolore che le attanagliavano il cuore. Stanca e quasi senza forze scese le scale che la portavano nell’ atrio. Lo attraversò tutto con lo sguardo perso nel vuoto e la mente piena di brutti pensieri, incurante degli sguardi di chi la fissava e non comprendeva l’ infinita tristezza che aveva negli occhi. Si abbandonò esausta su una delle panchine del parco che circondavano l’ ospedale; la brezza fresca e leggera di quell’ ultimo giorno di primavera le accarezzò il viso sollevandogli un po’ i capelli. Le parve che il dolore che sentiva in petto gli stesse concedendo un attimo di tregua ed alzò gli occhi al cielo. Sorrise vedendo una stella brillare nel primo buio che separa il giorno dalla notte: la conosceva bene perché era l’ astro che lei ed il suo principe avevano scelto per rappresentare la loro luce nel cielo. Così fissandola si inclinò di lato appoggiando il braccio sullo schienale della panchina e su di esso vi reclinò il capo: forse per il sonno che si stava impadronendo del suo stanco corpo e che gli sfuocava un po’ la vista, le parve che quella stella si sdoppiasse in due.
“Sembriamo noi due – pensò con dolcezza – io ed il mio principe, uniti in cielo “ e sospirò. Le sembrava che una delle stelle diventasse sempre più grande e sempre più vicina…e sempre più contornata da una luce blu. Non si accorse se stava sognando tutto o se tutto era frutto di uno scherzo dei suoi stanchi occhi. Ma sobbalzò e si raddrizzò seduta quando si accorse che quella palla di luce blu era proprio lì, vicina, sulla punta opposta della panchina. Ed in mezzo a quella luce c’era il suo angelo che le sorrideva. Una scarica repentina di adrenalina le attraversò piacevolmente tutto il corpo e la svegliò dal torpore.
“Angelo! Angelo mio!...Sbagliato!” e non sapeva se balzargli incontro dalla gioia od abbandonarsi ad un felice pianto liberatorio.
Lui accentuò il sorriso ed allargò le braccia portandole piegate in alto all’altezza della spalle, come volesse con quel gesto dire: “ E si, son qui…sono io…ho sentito la tua accorata richiesta di aiuto…son corso subito…non mi vedevi da tanto, … ma ti son sempre stato vicino…”
"Angelo, angelo, angelo…quanto ho pregato perché tu venissi da me ad aiutarmi in questo momento” … e senza aspettare che lui potesse risponderle, cominciò a raccontargli tutto quello che era successo da quando lo aveva visto per l’ ultima volta fino al racconto dell’ incidente del suo principe. Lui, pur conoscendo tutti gli eventi, non la interruppe per il piacere di risentire la sua dolce voce che gli toccava il cuore. Alla fine la esortò a seguirlo.  “Senti che farò – le disse – ora entrerò nella stanza del tuo principe per capire cosa è successo. Tu resta fuori e distrai la gente così che io possa agire indisturbato”. E così fecero. L’angelo entrò nella stanza in cui il bel principe giaceva immobilizzato nel letto, privo di coscienza, intubato, imprigionato da decine di sensori elettrici e tubi di flebo. Avvertì con un brivido il dolore che regnava in quel luogo: un dolore non solo fisico ma insidiato nella mente e nel cuore dell’ uomo. Così l’ angelo si avvicinò al triste giaciglio e cercò di capire la ragione di tanta sofferenza, mentre Principessa teneva a bada gli infermieri subissandoli di domande.
Poi un’ improvvisa corrente d’ aria attraversò tutto il corridoio al di fuori della camera di rianimazione, suscitando un po’ lo stupore di chi era presente perché nessuno riusciva a capirne la provenienza: solo "Principessa" sapeva che quello era il segnale convenuto fra lei e l’ angelo per incontrarsi di nuovo nel parco, lontani dagli sguardi di tutti.
Lì, poco dopo, infatti si incontrarono.
“Dimmi Angelo…- esordì lei trepidante”
“Era come sospettavo – le rispose calmo – Non reagisce, perché stranamente è lui che si sente in colpa! Si attribuisce lui la responsabilità del vostro litigio, per la durezza con cui ha paura di essersi espresso e per lo stupido orgoglio che ha tenuto senza lasciarti possibilità di comprensione. Il suo cuore è ferito e teme di averti delusa e di aver macchiato il vostro bellissimo amore per sempre. E’ come se volesse morire”
“No angelo…no! - disse lei disperata trattenendo a stento le lacrime – io lo amo, lo amo alla follia. Non può lasciarmi…è stato uno stupido battibecco ed ho colpa anch’ io. Angelo, va da lui e digli che lo adoro, di non lasciarmi e che non accadrà più…”
“Penso che invece dovresti dirglielo tu.”
“Ma non mi lasciano entrare, lo posso vedere solo attraverso un vetro!”
“Fidati, ti spiegherò come fare. Ma devi essere decisa e determinata”.
Così Principessa fece come il suo angelo le aveva detto. Si presentò di fronte agli infermieri di guardia e disse che doveva per forza entrare in quella stanza e che potevano chiudere un occhio sul regolamento, in fin dei conti che cuore avevano, come non potevano ascoltare l’ accorata supplica di una moglie che voleva solo stringere la mano al suo amato che, probabilmente, non avrebbe superato la notte. Li sfinì, decisa com’ era ad ottenere ciò che voleva, così che alla fine le concessero di entrare. “Ma solo per un minuto, non un secondo di più- l’ ammonirono”.
Non appena fu dentro la stanza e subito dopo che l’ infermiere ebbe abbassato la tendina della vetrata per nascondere quella infrazione regolamentare, anche l’ angelo vi si introdusse attraversando una parete.
“Prendigli la mano – le ordinò questi – affinché possa sentirne il tuo calore ed i vostri cuori possano comunicarsi l’ amore che provate una per l’ altro. Al resto penserò io”
“Angelo, ti basterà un minuto?”
“Anche meno…-la rassicurò lui-" e non appena le loro mani si unirono l’ angelo chiuse gli occhi e circondò tutti della sua luce blu. Principessa non seppe quanto durò tutto quello, ma si sentiva serena e rassicurata. Indugiò un attimo nell’ abbandonare il calore della mano del suo amato perché le parve che questa si fosse leggermente stretta alla sua. Poi vedendo che l’ angelo non c’ era più uscì dalla stanza e ringraziando gli infermieri si diresse verso l’ uscita per rincasare. Qui giunta non salì subito nella sua camera da letto perché scorse una luce blu provenire dal fondo del giardino di casa, proprio sotto i grandi pini; fra di essi il suo angelo la attendeva.
“Angelo che bello riaverti qui.- esordì lei- Sai che non ti ho mai scordato? Sai che per sentirti sempre vicino ogni giorno passavo dal piazzale della chiesa e salutavo l’ angelo d’ oro che sta in cima al campanile. Mi immaginavo che fossi tu!”
L’ angelo rise divertito.
“Angelo…sono serena, mi sento in pace con me stessa…- continuò lei”
“Ne hai ben donde. Sii fiduciosa; prima che sorga il sole una luce nuova rischiarerà il cammino delle vostre vite”
“La mia e del mio principe?”
“La tua, del tuo principe, della tua bimba e di tutti quelli che ti stanno vicino”
“Angelo, angelo, cosa farei senza di te. Ho fede in quel che mi dici. Giurami che sarai sempre al mio fianco, che accompagnerai ogni giorno della mia vita…e quella del mio principe, della mia dolce bimba e di tutti quelli che nutrono affetto per me! Forever !”
“Son qui… - le rispose”


Può un angelo mentire? Certo lo fece per non darle un dolore ulteriore, perché la vide già abbastanza provata da tutto ciò che le era accaduto nelle ultime ore. Ma non avrebbe dovuto essere schietto nel dichiarare ciò che era vero e già scritto? Che cosa aveva questa donna che provocava in lui una netta scissione fra ciò che aveva di divino e quello che lo accumunava di più ad un esser umano? Perciò tacque.
“Ti auguro una felice notte, tranquilla e serena. Ciao mia dolce Principessa”
"Ciao angelo mio” disse con voce stanca ma carica di affetto e si avviò verso la casa. L’ angelo la seguì con lo sguardo fino a quando la vide sparire dietro l’ uscio di ingresso e pensò a quanto fosse fortunato il principe ad essere il centro dell’ amore della donna. Dubitò di aver fatto la scelta giusta nell’ abbandonare il suo stato di essere umano e di aver accettato di ritornare angelo. Ma può un angelo avere dubbi? Perché quella donna lo confondeva così ? Pensava questo quando udì una voce alle sue spalle.
“Alethe, hai compiuto la tua missione” Si volse sapendo bene chi avrebbe visto.
“Mihael…ti aspettavo.”
“Alethe, seguimi. Ormai tutto è compiuto. Qui non è più il tuo posto”
“Mihael, non ne sono sicuro. Cioè, si, so che tutto sta volgendo ad una conclusione felice, ma…lasciarla così…senza averle detto il vero…Non ce la faccio”
“Presto lei avrà di nuovo il suo principe e tu sarai solo un vago e fugace ricordo, perché le cose umane superano ed obliano il divino. Andiamo…”
“No…aspetta vorrei ancora rassicurarla, garantirle la mia presenza nel suo futuro, dirle di confidare sempre in me…”
“Alethe, Alethe …tu scordi le mie parole…Ti ho detto subito a cosa saresti andato incontro se saresti tornato un angelo. Hai scelto: non puoi più tornare indietro. Andiamo!”
Si girò verso Mihael, supplichevole: “Un giorno…un giorno solo Mihael. Cos’ è un giorno in confronto all’ eternità. Le devo parlare…la vorrei accarezzare…”
“Non pensarci nemmeno ad accarezzarla, proveresti un amaro dolore, scoprendo una triste realtà…”
“Un giorno, un giorno! Neanche Dio, penso, potrebbe negarmelo!”
“E sia. Un giorno solo…da adesso. Ma guardati dal tentare di toccarla!” E sparì cosi come si era dal nulla manifestato.
Le parole di Mihael gli risuonavano ancora nella mente quando, dopo un lungo tempo passato a meditare, si decise a muoversi verso la casa. Entrò direttamente nella camera di Principessa e la vide addormentata nel suo ampio letto: come era bella! E come era bello e puro il suo cuore. La stanchezza, la fatica ed il dolore di quei giorni non avevano minimamente segnato il candore del suo viso. E quel sorriso! Appena accennato sulle sue labbra, rivelatore della sincera fiducia che le aveva conciliato il sonno…Non seppe neanche che cosa gli fece protendere la mano verso di lei per accarezzarla…e capì. La sua mano non si posò sulla sua guancia ma, come eterea prominenza del suo corpo, la attraversò. Nessun contatto fisico può esserci fra un angelo ed un essere umano! E capì le parole di Miahel. Deluso ed addolorato volse le spalle a Principessa ed attraversando il muro, si alzò in volo senza meta. Solo, con il suo dubbio ed il suo dolore. 

Era appena l’ alba del nuovo giorno quando il telefonò di principessa squillò facendola sobbalzare nel letto. Con angoscia sollevò il ricevitore…angoscia che si trasformò in stupore ed in gioia incontenibile. Corse fuori dalla camera e svegliò tutta la famiglia. Presto all’ ospedale, tutti! Il Principe si era svegliato! In auto ricordava le parole di meraviglia del medico che non si capacitava come mai improvvisamente ed al di fuori di ogni logica medica le condizioni del paziente avevano cominciato a migliorare; sempre più, fino a quando poco prima dell’ alba il principe era uscito dal coma.
"Sembra un miracolo – esclamò il neurologo – mai visto niente del genere…”
“Si io lo so che è un miracolo – disse in cuor suo – e non avevo dubbi che sarebbe stato così”
Da dietro la vetrata della camera di rianimazione il principe, non più intubato, sollevò una mano in segno di saluto non appena scorse la sua principessa. I suoi occhi e il suo sorriso esprimevano tutto l’ infinito amore che egli provava per lei; riuscì addirittura a portarsi la mano alle labbra e a soffiare verso di lei un tenero bacio, che la donna contraccambiò con uguale amore.
“Stia tranquilla signora - le disse il neurologo – non riesce ancora a parlare perché è stato intubato: presto però lo farà. Dal decorso medico posso assicurarle che al più presto potrà tornare a casa; perché, a parte qualche forte contusione, non ha nessun’ altra lesione importante”.
La giornata per Principessa ed i suoi cari trascorse in un frenetico andirivieni fra la casa e l’ ospedale. Tutti gli amici ed i conoscenti vollero manifestarle la propri gioia, facendolo di persona o subissandola di mail, sms e telefonate. Era un tripudio collettivo a manifestare la gioia di tutti per la buona sorte del suo principe. Fu così che la sera arrivò presto.
Alethe per tutto il giorno non si manifestò, conscio che al clima di gioia e felicità, la sua presenza non avrebbe aggiunto niente. Aspettava meditabondo appoggiato alla recinzione della casa di lei quando si accorse della presenza di Mihael alle sue spalle.
“Ehilà – disse ironico – angelo ombra…sei qui?”
“Volevo solo ricordarti quel che già sai”
“Lo so, lo so Mihael. Son qui per questo – e poi abbozzando un mezzo sorriso proseguì – Sai Mihael m’ è venuta un’ idea pazza…”
“Conoscendoti, Alethe, non potrebbe che essere pazza…- replicò intuendo cosa stesse per dire“
“E se io mi incarnassi in un essere umano o in un gatto, un cane, un canarino…un pino, qualsiasi cosa che mi consentirebbe di starle vicino?”
Mihael scosse il capo e lo ammonì: “Niente potrà più trattenerti in questo mondo, neanche se tu volessi fare ciò che hai detto. Perché entrando in un essere umano, un animale o un vegetale li uccideresti annientando anche te stesso..” e lo esortò a compiere ciò che sapeva. “Si Mihael, si – disse sconsolato per aver pensato ad una soluzione così disperatamente assurda -…vattene per favore. La vedo che sta arrivando.“  In effetti era lei che stava venendo a cercarlo, nel giardino sotto i pini, nel punto stesso in cui lo aveva lasciato la sera precedente.
“Angelo, Angelo mio, Sbagliato! Lo sai come sono felice? Tutto merito tuo – e poi, imitando la voce di una bambina – Lo sai che ti voglio un bene infinito, dal profondo del mio cuore “  L’ angelo le sorrise intenerito: “ Lo vedo, lo sento…lo so!”
“Sai che sono l’ essere più felice della terra, perché potrò avere presto il mio Principe vicino ed insieme a lui ho vicino la mia bimba, tutta la mia famiglia, tutti i miei amici…e soprattutto te, per sempre”
Quel – per sempre – fu per l’ angelo come ricevere una coltellata che gli produsse un dolore simile a quello che provò quando si era posto le ali sulle spalle.
“Senti, Principessa, non posso più fare a meno di rivelarti una cosa – disse dopo aver preso un respiro profondo, quasi volesse trovare la forza per parlare”
E così le raccontò tutto, della notte in Australia, di Mihael e del suo destino ineluttabile. E lei, mano a mano che il suo angelo le raccontava questo, divenne sempre più incredula e più triste.  Poi si scosse e con fare colmo di rabbia replicò “ Angelo…angelo cattivo, prima mi riempi di gioia e poi mi racconti tutto questo! Non vedi e non senti il dolore che mi stai procurando…non è giusto!”
Il cielo cominciava a riempirsi di minacciose nubi cariche di pioggia. L’ angelo reclinò il capo, quasi volesse sfuggire lo sguardo  fisso di lei. Poi la guardò nel profondo dei suoi bellissimi occhi e disse:  “Principessa, per favore non rendermi ancora più duro ed angoscioso questo momento di quanto non lo sia già. Pensi che se non ci fosse stata una sola possibilità per restare qui vicino a te non l’ avrei già attuata? Così, deve essere… Pensa e sii felice che il tuo angelo ha raggiunto il massimo grado di splendore e di purezza. Pensa che, per quanto ogni essere umano abbia il suo angelo custode, a te è stato concesso di vederlo e parlargli. L’ amore che ti ho dato e quello che mi hai dato rimarranno per sempre nel tuo cuore: ciò ti aiuterà nella vita e potrai offrirlo a tutti. Guardati solo dalle false illusione, dalle facili gioie e dagli istintivi entusiasmi che obliano la vera felicità.”
“Angelo, Angelo…- mormorò lei capendo che niente avrebbe potuto - vorrei trattenerti. Ma capisco che ciò che dici è vero e giusto. Purtroppo devi andare…. Ma mi osserverai dall’ alto dei cieli, e se ti pregherò, potrai confortarmi e indicarmi la via giusta?”
“Hai già in te tutta questa forza, nel profondo del tuo cuore; perchè tu sei divina molto più di quanto tu possa immaginare. Vai ora, che comincia a piovere. Vai dai tuoi cari e dai tuoi amici e fai ciò che sai, perché la felicità eterna la si comincia a conquistare qui, su questa Terra”.
Lei lo guardò in viso con amore ed indietreggiando si portò una mano alla bocca e gli schioccò un bacio da lontano; poi si girò e con passo sempre più veloce e poi correndo, rientrò in casa. 

L’ Angelo volò via, senza voltarsi indietro, conscio che ormai il suo tempo sulla Terra era alla fine: così come era scritto ed era voluto. Ma la disperazione di doversi allontanare per sempre dalla sua Principessa gli attanagliava il cuore in una morsa di angoscioso dolore. Volando senza direzione, prendendo quota per poi ridiscendere in picchiata, mescolava la sua disperazione ad attimi di rabbia che l’ inducevano alla ribellione. In quel momento si sarebbe ribellato anche a Dio. Ma come poteva trovare l’ elemento che l’ avrebbe vincolato per sempre ad un destino terrestre? Non certo un corpo di uomo, o di un animale o di un vegetale, perché ricordò l’ ammonimento di Mihael.
“Dio, Dio come sei ingiusto…- si ripeteva a denti stretti – io non voglio lasciarla, non voglio non vederla più”
Le lacrime che gli scendevano sul volto si mischiavano alle gocce di pioggia sferzante di quel violento temporale estivo. Fu un lampo che gli fornì la soluzione; un lampo che rischiarò per un istante il campanile della chiesa, su cui si ergeva la statua dell'  angelo dorato. In un attimo decise, strinse le ali al corpo e si buttò in una picchiata vertiginosa a colpire quella statua. Veloce, quanto la luce, che se ci fosse stato qualcuno a vedere in quella notte di maltempo, avrebbe giusto visto un lampo colpire la statua del campanile. Ci fu un bagliore che rischiarò a giorno il cielo…l’ angelo sentì il metallo e le lamine d’ oro liquefarsi e poi subito solidificarsi attorno al suo etereo corpo, imprigionandolo definitivamente e per sempre nella posizione della statua. 

EPILOGO 

“No, no, al ga nient…l’ è tut al post” esclamò il comandante dei vigili del fuoco che aveva effettuato il sopralluogo alla statua dell’ angelo. Il parroco e la gente raccolta sul piazzale della chiesa tirarono un sospiro di sollievo, confortati che il loro angelo protettore non avesse subito danni dal potente lampo che lo aveva colpito la notte precedente. A dire il vero a qualcuno sembrò che la statua avesse le braccia leggermente sollevate rispetto a prima, quasi si protraessero in un abbraccio…ma la cosa fu accettata da tutti come una sorta di suggestione collettiva. Invece da quel giorno quella statua che dall’ alto dominava il paese, sarebbe stata diversa. Perché in essa batteva il cuore di un angelo. E non solo; quella statua vedeva tutto e tutti, con gli occhi dell’ angelo in essa imprigionato. Qualche tempo dopo le fotografie scattate dai vigili del fuoco capitarono nelle mani di Principessa , ora di nuovo felice e serena accanto al suo Principe; anche se il suo cuore era ammantato da un leggero velo di tristezza perché aveva per sempre perso il suo angelo. Solo a sera riassettando il locale si accorse delle immagini e le raggruppò per riporle in un cassetto. Soffermò lo sguardo sulla prima e parve anche a lei che la statua avesse le braccia più alzate come se si protraessero in un abbraccio. Sorrise…ma la foto successiva che ritraeva il volto della statua le procurò una intensa scarica di adrenalina che le accapponò la pelle facendole sollevare tutti i peli dorati del corpo. Non ebbe dubbi: quello era il volto del suo angelo! Fissato su di esso aveva un aureo sorriso. Nessuno se ne era accorto perché della statua esistevano solo disegni tecnici e nessuna fotografia era mai stata scattata prima così da vicino. Una vampata di emozione le pervase il corpo e non si trattenne: “Mamma- disse – devo uscire!”  Corse via subito non udendo nemmeno il “Dove vai?” lanciatole dalla madre.  Corse veloce in quella calda e luminosa sera d’ estate. In un attimo colmò la distanza che separava la sua casa  dalla chiesa ed entrando nel piazzale rivolse subito lo sguardo verso la statua dell’ angelo.  Felice e col cuore colmo di gioia disse fra sé e sé “ Pazzo d’ un angelo sbagliato, l’ hai trovato il modo per non lasciarmi più…io da oggi e per ogni giorno che vivrò, verrò qui a salutarti per ringraziarti di aver voluto rimanere vicino a me”.
Così pensando portò una mano alla bocca, vi racchiuse un bacio e lo lanciò al suo angelo.  Questi  dall’ alto vide tutto e sentì le sue parole. Era felice perché da quel giorno avrebbe potuto per sempre stare con la sua Principessa. 
Tutti i giorni quando l’ angelo la vede arrivare nel piazzale e la vede sorridergli e lanciargli un tenero bacio, sente il suo cuore imprigionato palpitare di gioia. E dal suo occhio si stacca una lacrima di felicità che, volando, cade non vista al suolo…e nessuno si spiega come mai intorno al campanile fioriscano così tanti fiori gialli.




EDO W.A.

giovedì 25 novembre 2010

LA PRINCIPESSA E L' ANGELO SBAGLIATO - Fiaba -

C’ ERA UNA VOLTA una giovane donna dai capelli scuri e dagli occhi dolci da cerbiatto, che viveva con la sua piccola bimba, in un  piccolo paese. Tutti le volevano bene perché non negava mai a nessuno, l' attenzione, un sorriso ed una buona parola. Molte volte, la sera, era solita accogliere i suoi amici, ai quali spillava generosi boccali di birra e preparava gustosissime cene. I suoi amici non mancavano mai di dimostrarle l’ affetto che avevano per lei e così le sere trascorrevano in un aria di gioia ed allegria. Talvolta però accadeva che quando l’ ultimo degli amici andava via, il suo dolce viso si rattristasse ed una vena di malinconia si impadronisse del suo cuore. Tanto che a volte i suoi occhi si riempivano di lacrime che, rigandole il bel volto, cadevano sul pavimento e qui si asciugavano. Era triste perché nonostante avesse tanti cari amici, non trovava nessuno che potesse darle un amore vero, sincero e totale…non solo a lei, ma anche alla sua bimba. Fu così che in una di queste triste sere, senza quasi accorgersene, urlò al cielo: “ Ma dov’ è il mio principe azzurro? Perché non mi sente e viene da me? Possibile che non mi senta nessuno in questa notte?”
Fu il caso che passasse in volo, proprio sopra il paesino, un angelo smarrito, che udendo il suo lamento decise di scenderle vicino. La giovane per poco non svenne per l’ improvviso bagliore blu che invase il locale. Poi, quando i suoi occhi si abituarono un po’ alla luce , intravide in essa l’ angelo. Subito lo sgomento si trasformò in un dolce riso, alla vista di quell’ essere alato dall’ aspetto non più da giovincello, con il volto un po’ stralunato, con le piume delle ali in ordine ma non più lucenti. 
“Oddio! – esclamò lei – che strano angelo sei, tu?”
“Sono l’ Angelo Sbagliato – si presentò lui” 
“L’ angelo sbagliato! – ribattè divertita –Perché ti trovi qui per sbaglio o sei uno sbaglio d’ angelo ?”
“No…mi chiamano così i miei fratelli angeli, perché mi piace bere gli "sbagliati". Mi piacciono così tanto che mi attardo in giro per i bar del Mondo, che a volte resto chiuso fuori dal Paradiso…come stanotte” 
La giovane donna rise di tutto cuore e, non più impaurita, chiese ironica: “Ma sei proprio sicuro di essere un angelo?”
“Beh…di terza categoria, la prima in cui ti danno le ali. - rispose un po’ stizzito l’ angelo- E comunque proprio adesso ho fatto un mezzo miracolo!” 
“Quale ? - fece lei, stando un po’ al gioco” 
“ Ho allontanato da te la tristezza e ti ho fatto sorridere. Ma dimmi: come posso aiutarti?” 
La giovane convinta dallo sguardo sincero dello strano angelo, gli aprì il cuore raccontandogli tutte le sue gioie, le sue felicità ma anche le sue pene, compresa quella di non riuscire a trovare un amore vero. L’ angelo rapito dalla dolcezza della sua voce, le promise che la notte stessa sarebbe andato per tutto il mondo a cercare per lei il Principe Azzurro; e così facendo la esortò ad andare a casa augurandole una buona notte, ricca di bei sogni. L’ angelo, rimasto solo nel bar, ancora inebetito dal bacio che lei, uscendo, gli aveva schioccato da lontano, non resistette e rubò una foto che ne ritraeva il dolce viso sorridente, nascondendola nella larga manica della veste. Non resistette neanche alla tentazione di prepararsi uno sbagliato che bevve in un sol sorso…non resistette nemmeno al secondo, al terzo, al quarto…ed alla fine ne perse il conto. 
Fece molta fatica a spiccare il volo ed una volta raggiunta la giusta quota se ne andò zigzagando per il cielo in cerca del principe azzurro. Non si accorse neanchè per quanto tempo volò, ma era determinato a compiere la sua missione; nonostante piovesse a dirotto e non si vedesse a un palmo dal naso. Così, un po’ per il maltempo, un po’ per effetto dell’ alcol ed anche un po’ per il ricordo degli occhi della giovane donna, non si accorse che stava volando troppo basso. Fu così che si trovò all’ improvviso di fronte una quercia enorme! Virò d’ istinto, in un gesto disperato, ma con l’ ala urtò una fitta siepe; ormai senza controllo finì di schiena in una piscina e, spiattellando come un sasso impazzito, si infilò, distruggendo una vetrata, nell’ ampio salone di una casa. “ O mio Signore- mormorò – che botta e che casino ho fatto!” 
Si girò per rialzarsi quando vide, rischiarata dalla luce del fuoco di un camino, la figura di un uomo giovane, bello, alto, dai capelli scuri e dagli occhi chiari. Notò però anche un’ espressione molto triste sul suo volto. “Chi sei tu?- disse minaccioso il giovane” 
“Sono un angelo- rispose con timore” 
“Un angelo!?!? Mi sembri più un ubriacone vestito da carnevale che è piombato come una furia in casa mia…! E magari anche ladro!” 
E così dicendo brandì un attizzatoio e si accinse a colpire l’ angelo. Questi ,da terra, per istinto protese il braccio per difesa e così facendo dalla manica della veste volò fuori la fotografia rubata. Il giovane ne seguì il volteggiare fino a che questa cadde sul tappeto con l’ immagine rivolta verso l’ alto. Fu così che al bagliore del fuoco vide quel bel viso, con quegli occhi colmi di profonda tenerezza e quel sorriso radioso. Fu come una magia: gli occhi del giovane furono rapiti da quell’ immagine e dal suo volto sparì tutta la tristezza che lasciò il posto ad una chiara espressione di infinita gioia. 
“ Chi è? – balbettò il giovane senza mai staccare gli occhi dalla fotografia- Ti prego, portami da lei…subito!” 
 L’ angelo capì ; “L’ ho trovato – pensò fra sé e sé “ ed alzando la mano fece cenno al giovane di seguirlo. 
Questi, abbandonato ogni intento di sopprimere l’ incauto angelo, lo seguì fino in cortile e, incurante della pioggia, saltò sul suo cavallo bianco……………………..[ no alt! Il cavallo bianco è affascinante , ma forse troppo anacronistico. Diciamo che salto sui cinquecento cavalli della sua Maserati bianca…meglio,è? ] e partì fiducioso seguendo l’ essere alato. 
I raggi del sole rischiaravano a fatica il cielo da dietro le nubi, quando il giovane parcheggiò la sua potente auto. La donna era seduta ad un tavolino di un bar  fiduciosa nel nuovo giorno nascente ,quando, alzando lo sguardo, lo vide varcare la soglia.  Fu colpita dalla sua  bellezza e dal fascino pulito che irradiava dal suo volto.  Si accorse che, fra le persone sedute ai tavoli, non aveva occhi che per lei. E così guardandosi fissi negli occhi si avvicinarono una all’ altro fino ad abbracciarsi teneramente. 
“Come sei bella – le sussurrò il giovane accarezzandole i capelli- Più bella di quanto immaginassi!” 
A lei parve di annegare nel profondo dei suoi occhi chiari , vedendoli pieni d’ amore solo per lei. “Sai- gli disse lei- ho creduto ad un angelo strano, e mi sono addormentata sognando che il nuovo giorno mi avrebbe regalato qualcosa di straordinario. Forse un principe azzurro…” 
Lui sorrise dolcemente, senza staccarle lo sguardo dal viso e con la voce più dolce che potesse avere le sussurrò: “ Non smettere mai di sognare, perché i sogni diventano realtà se lo si vuole ardentemente. Io ci sono sempre stato ed ho sempre creduto che tu esistessi: dovevamo solo incontrarci. Sento di amarti…ed amerò tutte le persone a te vicine” 
Poi chiuse gli occhi e la baciò dolcemente sulle labbra, cingendola in un abbraccio carico d’ amore. Lei si abbandonò felice in quella stretta, ascoltando il battito dei loro cuori che battevano impazziti all’ unisono; una lacrima, ma stavolta di gioia, le rigò la guancia e cadde vero terra…ma non si asciugò perché si trasformò subito in un magnifico fiore giallo. 
Fuori l’ angelo sorrise felice e sentì il petto gonfiarsi per l’ orgoglio di aver fatto una cosa buona. Alzò un dito al cielo e squarciò le nubi permettendo il passaggio ai raggi del sole. Con un altro colpo di dito trasformò le gocce di pioggia in gialli petali di fiore che lievemente cadevano sulla gente che accorreva per vedere quella calda luce d’ amore irraggiarsi dal bar. 
Poi spiegò le ali e parti a tutta velocità, come un razzo, verso il blu del cielo, senza guardare…e sarà stato perché aveva ancora un po’ di alcol nelle vene o proprio perché non aveva guardato che non si accorse del Boeing 747 della QUANTAS, in volo verso l’ Australia, che incrociava sopra di lui…

EPILOGO

Oggi la giovane donna , la sua bimba ed il principe azzurro vivono felici insieme ed inseparabili. Lei non ha abbandonato i suoi amici e continua a circondarsi del loro affetto ricambiandolo e dispensando a tutti radiosi sorrisi. A chi le chiede quale fine abbia fatto l’ angelo della sua incredibile storia, lei risponde: “Non lo so! Non l’ ho più visto. Ma anche se il mio cuore è tutto per il mio principe, ne ho lasciato un piccolo spazio anche per lui…”

E già!...e l’ angelo che fine avrà fatto? Lo trovarono all’ Aeroporto di Sidney, svenuto nella stiva dei bagagli di un aereo proveniente dall’ Italia. Per il colpo aveva perso le ali e da allora non ricorda più di essere stato un angelo. In Australia ha aperto un diving per i turisti ed ha tanti amici che gli vogliono bene. Anche se qualcuno lo considera un po’ matto perché racconta speso che una volta sapeva volare…e perché , in qualsiasi stagione, va in giro con un fiore giallo nel taschino…dalla parte del cuore. 

EDO W.A.